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Arma: d'azzurro al cavallo allegro, d'argento, passante su una campagna di verde.[1]

 

La Famiglia Ginetti

 

    Della famiglia Ginetti di Campobasso ricordiamo i fratelli Teresa ed Eligio (+1780), titolari della cappella di ius patronato della famiglia Ginetti, dedicata ai Santi Berardino ed Antonio dé Lazari. I beni della famiglia Ginetti unitamente al diritto di ius patronato sulla cappella, passarono alla figlia di D. Teresa, Doristella de Silvestris, ed al marito barone Donato d'Alena di Frosolone[2]

    La somiglianza dell’arma dei Ginetti di Campobasso, con quella dei Ginnetti di Sulmona, lascia propendere per l’ipotesi di una comune origine della famiglia[3].

    I Ginnetti di Sulmona avevano il patronato sull’altare di S. Giacomo Apostolo nella Chiesa di S. Maria della Tomba. Come testimonianza di questo altare restano oggi una tela ed un grande stemma in pietra. La tela, presso il Museo Diocesano, raffigura San Giacomo Apostolo e reca, nella parte inferiore, due stemmi della casata sulmonese: d’azzurro al cavallo allegro d’argento, passante su una campagna di verde. Il Palazzo della famiglia fu eretto tra via Carrese e via Peligna, in un periodo che va dalla metà del XVI secolo e l’inizio del XVII. Lo stemma può essere considerato parlante poiché il ginetto o ginnetto è una razza equina, caratterizzata dalla massiccia corporatura. I Ginneti furono presenti anche a Castelvecchio Subequo proprio negli anni in cui fu edificato il palazzo in Sulmona. I Ginnetti di Castelvecchio edificarono la loro casa in via Santa Caterina, e qui dimorarono fino al 1900 quando l’ultima dei Ginnetti sposò un Lucchini (infatti attualmente il palazzo si chiama Lucchini-Ginnetti). Lo stemma del ramo di Castelvecchio, presenta anch’esso un cavallo, ma differisce da quello sulmonese per la banda, ribassata, caricata in alto da una stella di 6 punte, ed in basso da un bisante o torta. In punta, nel cantone destro vi è un oggetto che risulta di difficile identificazione e lascia pensare ad un cappello rovesciato pieno di carbone.

I Ginetti risultano essere stati feudatari di Ferrazzano, dopo il 1713. Con atto del 12 febbraio 1721, la Duchessa D. Anna Ginetti, prese in prestito la somma di 9.000 ducati dal Marchese di Gallo, Vincenzo Mastrilli, ipotecando il feudo. Nel 1723, i creditori di casa Ginetti ottenenro l'esposizione all'asta del feudo che fu acquistato da Pompilio Petitti di Campobasso.

Le immagini degli stemmi che seguono fanno parte delle schede redatte dal Prof. Fabio Valerio Maiorano, pubblicate sul sito della Regione Abruzzo.

Stemma in pietra (XVII sec.) esposto sul portalino del Palazzo Ginnetti a Sulmona Stemma (XVI sec.) dipinto sulla tela di S. Giacomo Apostolo nella Chiesa di S. Maria della Tomba in Sulmona, di jus patronato della famiglia Ginnetti Stemma in pietra (XVII sec.) presente nella Chiesa di S. Maria della Tomba in Sulmona (altare di S. Giacomo) di jus patronato della famiglia Ginetti

Stemma in pietra (XVII sec.) esposto sul portone del palazzo Ginetti (via Peligna) in Sulmona

Stemma in pietra (XVI sec.) presente sul portone del palazzo Ginnetti (via Carrese) in Sulmona Stemma (XVI sec.) dipinto sulla tela di S. Giacomo Apostolo nella Chiesa di S. Maria della Tomba in Sulmona, di jus patronato della famiglia Ginnetti

Le immagini degli stemmi

 

Ginnetti o Ginetti di Velletri [4]

(tratto da uno studio del Dr. Paolo Alberto Ginnetti)

   

        La famiglia Ginnetti, (anticamente Ginetti), risulta essere una nobile famiglia di origine bergamasca, trasferitasi attorno al 1300 in Velletri. Nel XVI secolo si trova imparentata con le principali famiglie nobili del luogo. Uno dei personaggi più famosi di questa famiglia è Marzio Ginetti. Nacque a Velletri nel 1585 da Giovanni Battista ed Olimpia Ponzianelli. Completò gli studi a Roma presso il Collegio Romano (attuale Liceo Visconti) ed in seguito conseguì la laurea in diritto civile e canonico. Dopo essere stato nominato sacerdote, fu nominato dal Papa Paolo V, cameriere segreto. Da questo momento la sua carriera divenne inarrestabile. Gregorio Barberini lo nominò votante di segnatura, presidente del vescovado di Latina, segretario della consulta, uditore del cardinale Camerlengo e prefetto del palazzo Apostolico. Il Papa Urbano VIII ebbe grande stima di lui e lo nominò cardinale in pectore il 16 gennaio del 1626. La nomina fu confermata nel concistoro del 3 agosto 1627 col titolo presbiteriale di S. Maria Nova. Come cardinale fu inviato a Colonia (1635), come mediatore di pace nel conflitto che era insorto tra i principi cristiani. Fu legato di Ferrara, che amministrò per tre anni, prefetto di varie congregazioni, tra cui la Sacra Congregazione dei Musici. Gli vennero affidate come Vescovo le diocesi di Patrasso, di Albano (1653-63), di Sabina (1663-66), di Porto (1666-71) e fu anche vicario di Roma sotto cinque papi e per ben quarantadue anni. Fu il personaggio più popolare della corte pontificia del XVII secolo e non gli mancarono potere e ricchezze. Il 12 aprile 1624 acquistò dalla famiglia Caetani, per il prezzo di 33.000 scudi la terra di Roccagorga, che voleva elevare a marchesato per i membri della sua casa, con i quali fu sempre molto generoso. I Ginnetti furono titolari feudali di Roccagorga per oltre un secolo. Marzio iniziò a costruirvi la chiesa dedicata ai santi Leonardo ed Erasmo (i lavori furono portati a completamento da Giovanni Paolo Ginnetti). Nella chiesa si trovano ancora le sculture con i busti dei personaggi più famosi della famiglia. Marzio fu anche l'artefice del Palazzo Ginnetti in Velletri, che conservava anche una statua del Bernini che andò distrutta nel 1749 per mano dei rivoluzionari francesi. Nel 1944, durante un bombardamento, venne distrutto anche il palazzo, che un libro dedicato a Roma ed al suo circondario, del periodo antecedente alla guerra, così descrive: "In fondo alla piazza (Cairoli), abbellita da una legiadra fonte, evvi il palazzo Ginnetti, edificio a tre piani con magnifica scala di marmo, costruito da Martino Longhi; internamente è decorato di statue, stucchi e pitture; ha belle terrazze e loggie dalle quali è vaghissima la veduta del piano sottostante, dei monti Lepini e dei paesi che li popolano". Marzio Ginnetti, morì a Roma, il 1 marzo 1671, all'età di 86 anni. Suo nipote (figlio di un fratello) Gianfrancesco, nacque nel 1626, fu creato cardinale da Papa Innocenzo XI il 1 luglio del 1681. Partecipò a due conclavi e morì dopo dieci anni di cardinalato, a causa del colera il 18 settembre 1691, quando aveva 65 anni.

Facciata di Palazzo Ginnetti in Velletri. L'edificio, andato distrutto durante i bombardamenti del secondo conflitto mondiale, venne usato, nel 1744, come quartier generale da Carlo II di Borbone. (immagine tratta dal sito http://www.rikardcafarotti.com/velletri_deutsch.htm )

 

    Altro personaggio di spicco fu il Marchese Giuseppe Ginnetti. Egli fu generale dell'Imperatore Ferdinando in Moravia, consigliere del Marchese Spinola in Fiandra, maestro di campo del Papa nella guerra di Valtellina, sergente maggiore dello Stato ecclesiastico e vice castellano di Castrel S.Angelo a Roma.

    Giovanni Ginnetti, ricoprì la carica di capitano di tutta la cavalleria pontificia del Lazio.

    Nella chiesa di S. Andrea della Valle, situata nell'omonima piazza in Roma, la famiglia Ginnetti ebbe la sua cappella di jus patronato, opera di un allievo del Bernini, Carlo Fontana. Qui è esposto lo stemma della famiglia: d'argento a tre bande di rosso, a due rose dell'uno nell'altro poste una nella prima, e l'altra nella seconda banda.

    I Ginnetti, che usarono anche il titolo di Principi Romani, istituirono loro erede il Principe di Avellino D. Giovanni Caracciolo (n. Lancusi il 4 settembre 1741, + Napoli il 20 agosto 1800). Il suo discendente, D. Francesco Marino Caracciolo (20 mag. 1804, + Velletri 7 ott. 1870), XI Principe di Avellino, successe nei feudi dei Ginnetti ed ottenne il titolo di Principe Romano (dal 4 ott. 1857) e Marchese di Roccagorga (titolo feudale dei Ginnetti di Velletri) dal 20 dicembre 1857, confermato con Breve del 1 agosto 1858, ed aggiunse al proprio il cognome Ginnetti, dando vita al ramo Caracciolo Ginnetti (Pr. di Avellino, Pr. del S.R.I., Duchi di Atripalda, March. di S. Severino, Co. di Serino, Patrizi Napoletani, predicato di Candida e Montepredano, trattamento di Don e Donna, Grandi di Spagna di I classe). Nonostante i Caracciolo Ginnetti abbiano ottenuto la conferma dei loro titoli con R.D. del 18 maggio 1898, non risultano presenti nelle edizioni a stampa del Libro d'Oro della Nobiltà Italiana, successive a quella data. Lo stemma di questo ramo è il seguente: bandato d'oro e di rosso, al capo d'azzurro: lo scudo è circondato da un abordura d'argento caricato superiormente dal motto POR BEN VIER ed inferiormente di un paio di occhiali. CIMIERO: una testa di elefante al naturale; MOTTO: NUMEN REGEMQUE SALUTAT.

    Un ramo di questa famiglia, si trasferì a Pettorano ed attorno al XVII secolo altro ramo, dalla terra d'Abruzzo tornò in Lazio a Terracina. La notizia più antica dei Ginnetti di Terracina risale al 1686. Infatti dal Libro dell'introito et esito, e capitoli fatto per diversi interessi della Cattedrale di S.Cesario della Città di Terracina, che si conserva nell'archivio capitolare emerge che Gregorio Ginnetti pagava al capitolo della cattedrale la somma di 0,50 baiocchi per l'affitto di un terreno ad uso di orto alla Pantanella nel periodo 1686-1702. Dal registro dei pagamenti si nota anche che oltre al congome Ginnetti venivano usati anche le forme Ginetti, Ginnetto, Gianetti e Giannetti; quest'ultimo, che dopo il 1785 venne usato unitamente a quello di Ginnetti, era destinato a prevalere definitivamente.

    Nel 1821 un altro ramo dei Ginnetti di Pettorano, rappresentato da Ambrogio, si stabilisce in Terracina, ed il cognome assunse la forma Giannetti, che da circa quanrant'anni era già in uso in quella località.

 

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[1] Il Dizionario Storico Blasonico, G. B. di Crollalanza, riporta questa blasonatura: Ginetti di Campobasso: d'azzurro al cavallo corrente di nero sopra un terreno di verde.

[2] Notizie tratte da un documento conservato presso l’Archivio di Stato di Foggia, fondo “Dogana delle pecore”, s. II, b. 606, fasc. 12593.

[3] Le notizie che seguono sono state comunicate da Stefano Mari di Sulmona.

[4] Il Dr. Paolo Alberto Ginnetti, per il suo studio, ha consultato le seguenti fonti e bibliografia: Archivio storico diocesano; Dizionario Storico-Blasonico delle famiglie estinte e fiorenti. di G.B.Crollanza (Arnaldo Forni Editore); "La chiesa di Roccagorga e la famiglia Ginnetti di Velletri" di Antonio Restaini, club della soffitta 1985, stampato a Roma nel 1986; Bibliografia sui Ginnetti : "Hierarchia Cattolica" (Patritium Gauchat); "Enciclopedia Storico Nobiliare Italiana"; Alma Roma vol. XVIII,"Il Palazzo Ginnetti e i suoi giardini"; Castelli Romani," Il Cardinale Marzio Ginetti "; Rivista diocesana di Roma, "Marzio Ginnetti"; Roma fascista," I principi Caracciolo Ginnetti d'Avellino ",1929; L'osservatore Romano, " Il Cardinale Ginnetti ", 1953; " Enciclopedia cattolica "; Lorenzo Cardella," Memorie storiche dei Cardinali di S.R.E "; Cristofori Francesco "storia dei Cardinali di S.R.E." - Valentino Romani "Il palazzo e il giardino dei Cardinali Ginnetti a Velletri in due descrizioni del sec. XVII"; Cecilia Pericoli Ridolfini " Sant'Andrea della Valle". Ulteriori notizie sulla famiglia Ginnetti: Biblioteca dell'Istituto Nazionale di Archeologia e Storia Dell'arte, Biblioteca Casanatense, Biblioteca Nazionale Centrale "Vittorio Emanuele II", Biblioteca Romana "A. Sarti", Biblioteca Pontificia Universita' Gregoriana, Biblioteca Vallicelliana, Biblioteca Apostolica Vaticana, Archivio Caetani, Archivio Storico Capitolino, Archivio Segreto Vaticano, Archivio "Doria-Pamphili, Archivio Storico del Vicariato.